I quattro membri della troupe (noi compresi) che saranno nel concreto ad Honeydew lavoreranno come volontari per ridurre le spese. Siamo tutti amici e freelance e ci siamo impegnati personalmente in questo progetto.

SE VUOI APPROFONDIRE IL PROGETTO:

1. - Sinossi
2. - Note di regia
3. - Le nostre opinioni
4. - Chi siamo

Sentiti libero di farci qualsiasi domanda all’indirizzo: honeydewdoc@gmail.com
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SINOSSI

Maureen, sessant’anni, vive in un angolo remoto della contea di Humboldt, che da oltre cinquant’anni è conosciuta per l’intensa produzione di marijuana venduta illegalmente in tutto il mondo. Negli anni ’80, dopo aver girovagato per il paese a bordo di un vecchio scuolabus ed esibendosi con le sue canzoni country, si stabilisce nel piccolo villaggio di Honeydew. Un luogo rurale, difficile da raggiungere e sul cui conto girano voci poco raccomandabili.

Grazie al suo carisma e alla sua personalità eccentrica ma sicura, Maureen diviene un punto di riferimento ad Honeydew. La sua proprietà è attraversata tutto l’anno da una varietà sorprendente di persone. Tra gli autoctoni si alternano hippie romantici, imprenditori avidi di ricchezza o nostalgici lupi solitari. Ma sono anche figure di passaggio che ritornano ogni anno durante le stagioni di lavoro a giocare un ruolo importante all’interno della comunità: viaggiatori, musicisti, clandestini o animi liberi di ogni sorta che ciclicamente interferiscono con l’instabile equilibrio di Honeydew.

Oggi Maureen si trova ad un bivio: riuscirà a restare ad Honeydew ora che la legalizzazione ha stravolto i rapporti di forza costituitisi in passato e le sue figlie si sono trasferite altrove, o dovrà rimettersi completamente in gioco? Il cambiamento più importante si gioca però sul piano individuale. Ora che si avvicina all’anzianità e che ciò che ha costruito sembra destinato a crollare, ha la possibilità di tornare al principio del suo percorso, a quello scuolabus che in cuor suo non ha mai rottamato, alla sua musica e ai suoi mirtilli.

NOTE DI REGIA

Honeydew è un documentario drammatico raccontato con semplicità e leggerezza, ambientato in un territorio singolare, che diventa protagonista della storia assieme ai suoi personaggi.

“When things are illegal, everything becomes legal” ci disse un giorno Trevor, a proposito di quel tale che per vent’anni la fece franca nascondendosi nei boschi lì attorno. Fu allora che cominciammo a comprendere la natura dei legami sociali ad Honeydew. Il business della marijuana ha trovato, in questo appartato angolo di mondo, un terreno fertile in cui radicare e diffondersi, creando così un’economia sommersa ma governata da codici di comportamento condivisi.

Per tanto tempo ci siamo interrogati sulla particolare complicità che connetteva fra loro queste persone, per lo più desiderose di una vita appartata e lontana dai costumi della società. La risposta è sempre stata sotto i nostri occhi: la loro clandestinità.

La storia di Honeydew quale luogo di contesa tra ciò che è legale e ciò che è illecito inizia sul finire degli anni ’60, quando il presidente Richard Nixon dà avvio ad una politica proibizionista nota come “The war on drugs”. La collisione con il fermento di contestazione sessantottino e la nuova retorica presidenziale, che pone al centro del proprio disegno politico la lotta simbolica e fisica alle droghe, contribuiscono ad imprimere un carattere distintivo del Genius Loci di Honeydew.

Nel corso dei successivi due decenni il proibizionismo rimase una costante nella politica americana. Lo stato della California ha rappresentato in questo senso un’anomalia, distinguendosi dal resto del paese fin dagli anni ’90. Nel 1996 viene infatti legalizzata la marijuana a scopo medico e con essa ha inizio un lento ripensamento dei valori collettivi attribuiti a questa coltura. Si assistette ad un aumento esponenziale del numero di coltivatori, ma ciò non limitò il mercato nero che, anzi, vide accrescere enormemente i propri profitti. Da questo momento in poi chi in California decideva di entrare nel settore aveva ottime probabilità di arricchirsi velocemente. Così avvenne ad Honeydew, dove quelli che inizialmente erano piccoli coltivatori raggiunsero dimensioni tali da non passare più inosservati alle perlustrazioni aeree dell’FBI. Ma il fenomeno era già talmente esteso da rendere ogni tentativo coercitivo inutile.

Oggi la macchina legislativa californiana si è messa nuovamente in moto e, con l’ultima grande manovra di legalizzazione approvata con referendum nel 2017, ci colloca nel solco di un grande cambiamento.

All’ottimismo liberale di coloro che investono per restare concorrenziali si oppongono però altri che preferivano i benefici, seppur rischiosi, di una vita nella clandestinità. Abbiamo scelto di restare lontani dal documentario politico e dal reportage di denuncia, raccontando semplicemente la storia di Maureen e la sua relazione con il resto della comunità. Attraverso la sfera intima, privata e familiare vogliamo descrivere una condizione culturale e sociale. Come gli antropologi, saremo osservatori alla ricerca del dialogo quale strumento di indagine.

La nostra amicizia con Maureen ci ha permesso di guadagnare una posizione all’interno della sua rete di conoscenze, per questo saremo osservatori privilegiati grazie, anche, al rapporto maturato nei cinque anni trascorsi ad Honeydew. Un punto di vista dall’interno, dove i personaggi si raccontano in prima persona. Non si entra mai, infatti, nella sfera istituzionale, lontana, inaccessibile come nella realtà, ma si mette in scena una storia comune, di ordinaria umanità. Non una ricostruzione documentaria tipica dell’inchiesta dunque, ma la descrizione di una condizione umana in un luogo periferico americano, in parte ancora estraneo alle logiche produttive del mercato reale.

Honeydew narra le vicende di una donna, Maureen, e delle persone che le vivono accanto e che condividono con lei speranze e aspettative, ma anche rabbia e frustrazione per un futuro imminente che non sembra risparmiare nulla di ciò che si era faticosamente costruito. Tre generazioni a confronto e un unico grande tema: il cambiamento portato dal progresso e quindi l’integrazione di una realtà altra nella società reale. Maureen e Gary rappresentano gli anziani, lo spirito originario di Honeydew. Trevor e Ian sono la generazione degli adulti, entusiasti per il cambiamento ma aggrappati al loro passato. Vi sono poi i più giovani come Cody e tutta la sua banda, che fanno di tutto per estirpare le loro radici.

Il documentario sarà accompagnato principalmente da musica country, in parte suonata e cantata dalla stessa Maureen. Una musica popolare nata nelle zone rurali del Nordamerica che giocherà un ruolo fondamentale, caratterizzando la struttura acustica del documentario.

Il nostro approccio di lavoro sarà di natura osservativa, inserendosi in quella tradizione documentaristica che cerca nella relazione con i soggetti una forte quanto più intensa partecipazione. Nei mesi di riprese vivremo quindi a stretto contatto con i protagonisti del racconto, trascorreremo le giornate con loro e li seguiremo nelle faccende quotidiane della loro vita.

Rappresenteremo la marijuana così come viene percepita dagli abitanti di Honeydew: un elemento totalmente ordinario nelle loro vite. Per enfatizzare questa lettura seguiremo la crescita di un’altra pianta che rappresenta per la comunità un altrettanto elemento di unione dai molteplici risvolti simbolici: la zucca. Ogni anno infatti si svolge la competizione per la zucca più grande. Seguiremo quindi la crescita della zucca di Ian, vincitore in passato dell’ambito premio. Essa, associata al trascorrere delle stagioni, sarà metafora della ciclicità della vita tra aspettative e timori.

La vicenda si svolge nell’arco di circa un anno:

Nel periodo invernale il lavoro nei campi è sospeso e ad Honeydew rimangono solo i proprietari terrieri e si trascorre gran parte del tempo all’interno dello spazio domestico. I protagonisti del nostro racconto hanno molto tempo libero, generalmente hanno già venduto il raccolto dell’anno e con esso le preoccupazioni maturate nei mesi precedenti. Interno ed esterno sono in forte contrasto, le ambientazioni saranno rappresentate in maggioranza da toni scuri che contribuiranno a drammatizzare la psicologia dei personaggi.

Al periodo estivo si associano al contrario lunghe giornate di sole dai colori accesi e saturi, siamo nel vivo dei raccolti, tutti sono estremamente indaffarati, c’è tensione e la richiesta di forza lavoro stagionale richiama ad Honeydew una varietà di nuovi attori. In questo periodo sarà lo spazio esterno la cornice di gran parte degli avvenimenti pubblici e privati: tra ritrovi collettivi, feste, battute di caccia e tanto altro.

Anche la fotografia, caratterizzata dall’utilizzo della luce naturale, evidenzierà lo scorrere del tempo, cercando di riprodurre i colori più freddi dell’inverno, creando un’atmosfera piena di suspence e distacco emotivo verso i personaggi, fino ad arrivare ai toni più caldi dell’estate, dove invece lo spettatore, nell’arco del racconto, avrà avuto modo di conoscere meglio i protagonisti sentendosi più tranquillo e al sicuro all’interno di Honeydew.

Per tutte le scene in esterno si cercherà di sfruttare la splendida luce della California: i raggi di sole che squarciano il cielo scuro e nuvoloso, creando impressionanti chiaroscuri e tonalità drammatiche; la luce che si infiltra nella foresta di sequoie per creare scenari accattivanti.

La scelta delle location sarà altrettanto di estrema importanza. Un lavoro accurato di ricerca dei luoghi è già stato fatto a monte ed ha contribuito a porre le basi per uno studio di ricerca visivo e fotografico.

Il film verrà girato utilizzando una UrsaMini Pro con ottiche Canon CN-E, sfruttando il formato 4k per la costruzione di un quadro 2:35. Saranno utilizzate una lente 35mm, un 50mm e un 85mm per ritrarre i personaggi, un 24mm e un 70-200mm per la descrizione dei paesaggi. In più sarà usata un’ottica zoom durante i momenti meno prevedibili. Uno sguardo sempre all’altezza degli occhi, un unico punto di vista.

LA NOSTRA OPINIONE

Non crediamo che il proibizionismo sia una scelta politica efficace, anzi sosteniamo che i suoi effetti accrescano le possibilità di sviluppo di un’economia sommersa. La contea di Humboldt nel nord della California è la prova vivente di questo fenomeno. L’illegalità della marijuana anziché dissuadere le persone dal coltivarla, le ha solo allontanante dal resto della società.

Per noi Honeydew significa anche disobbedienza: vivere nell’illegalità risponde a quel sentimento individuale di non appartenenza al sistema sociale riconosciuto. Significa ricerca della propria identità come singolo e in relazione ad un gruppo. Crediamo che coloro che scelgono di essere emarginati lo facciano anche per rispondere ad un bisogno personale. Le strade che un individuo può percorrere in questa sua ricerca sono molteplici. Gli abitanti di Honeydew hanno scelto per l’allontanamento dal resto della società. Si sono rifugiati nelle vicinanze delle foreste del Redwood National Park e hanno addomesticato gli ultimi territori di quel Far West che da sempre rappresenta il sogno americano di evasione.

La marijuana ad Honeydew è una pianta come tutte le altre: coltivarla è divenuto un fatto normale, quel velo di mistero che solitamente avvolge questa pianta è acqua passata. Vogliamo rappresentare il legame tra uomo e pianta così come viene percepito dalla popolazione. Attraverso il quotidiano andremo quindi a smascherare alcuni falsi miti e pregiudizi che da sempre caratterizzano queste persone. Vogliamo quindi dimostrare il relativismo che sta alla base di ciò che si può reputare giusto o sbagliato a seconda della prospettiva da cui si guardano le cose.

CHI SIAMO

Marco Bergonzi
Nasce nel 1991 a Parma. Consegue la laurea triennale in Architettura presso il Politecnico di Milano. Si trasferisce poi a Parma dove nel 2018 conclude gli studi con una tesi multidisciplinare sull’ Abitare informale. Attraverso questa ricerca ha modo di entrare in contatto con discipline quali l’antropologia e la sociologia. Appassionato di fotografia, negli ultimi tre anni si dedica al cinema documentario.

Michael P.
Nasce nel 1992 a Torino. Dopo essersi diplomato all’Istituto Socio Psico Pedagogico di Parma, ha iniziato a studiare Sociologia a Milano abbandonando gli studi per lavorare e riuscire a viaggiare. Nei cinque anni successivi ha visitato paesi quali Stati Uniti, Australia, Giappone, Taiwan, Sud Est Asiatico e Africa. Dal 2017 ha frequentato un corso di cinema a Bologna presso la scuola Rosencrantz & Guildenstern, diplomandosi nel novembre del 2018.